1943, Alberto Picchiani da Arsia, preso dai titini, muore gridando: Viva l’Italia

Per certe interviste ci lasci il cuore. È questo il caso seguente. “Mio padre Alberto ingegnere minerario è stato infoibato dai titini a Vines, presso Albona, in Istria il 5 ottobre 1943”. Inizia così la cruda testimonianza di Roberto Luis Picchiani di Borbone, nato ad Arsia nel 1941 ed esule a Forte dei Marmi (LU). “Abbiamo saputo da uno scampato all’eccidio che – ha aggiunto Roberto Picchiani – mio padre, precipitando nell’abisso carsico, gridò: Viva l’Italia”.

Era un militare o un fascista? “No, era un civile – è la risposta – in quanto dirigente tecnico della Società Henraux di Seravezza, in provincia di Lucca, una grossa impresa marmifera, fu comandato nel 1938 e poi militarizzato a dirigere il complesso minerario di carbone dell’Arsa, in Istria, con oltre 9 mila dipendenti, tra i quali molti sardi e vari toscani”.

Si sa che la miniera di Arsia dal 1935 fa parte dell’Azienda Carboni Italiani (ACaI), una società a capitale pubblico in cui furono confluite le attività estrattive del Sulcis – Iglesiente – Fluminese (Cagliari) e dell’Arsa (Pola). La stessa città mineraria di Arsia, oggi Raša, in croato, è fondata nel 1937, in stile razionalista.

Quando fu catturato il suo babbo? “Dopo la metà di settembre 1943 fu preso assieme ad altri funzionari di notte – ha detto Picchiani – e prima di portarlo al luogo dell’esecuzione, l’hanno tenuto prigioniero per alcuni giorni; l’ordine di eliminarli, dopo le torture, è arrivato dall’interno, ho saputo da un testimone di Forte del Marmi che i titini fecero quelle cose”.

Poi cosa successe? “Il 5 ottobre 1943 i titini portarono i prigionieri sul posto dell’eliminazione – ha replicato Picchiani – ma quando sono arrivati i tedeschi, i partigiani sono fuggiti, così i pompieri e i minatori hanno potuto esumare le salme, tra le quali c’era quella di mio padre, che fu riconosciuto ad Arsia da mio nonno Ugo Picchiani e dalla mia mamma Maria Cristina Del Prete di Borbone, poi i suoi resti mortali sono stati trasferiti nel cimitero di Forte dei Marmi, dove hanno trovato un degna sepoltura”.

La sua famiglia quando è venuta via dall’Istria? “Nell’ottobre del 1943 – ha spiegato Picchiani – per fortuna avevamo una casa a Forte dei Marmi dove riparare, pensi che i partigiani della Versilia, come Piero Pierini, avvertirono la mia famiglia di scappare dall’Istria, perché là gli slavi ce l’avevano con gli italiani e volevano ammazzarli tutti; così veniamo via mia made, mio fratello Ugo Carlos ed io, anche perché ad Arsia circolava la voce che i partigiani facevano dei rapimenti di bambini per soldi, perciò la paura era davvero forte”.

Come è stata l’accoglienza in Toscana per uno come lei nato in Istria? “Vede la mia famiglia di origine è toscana – ha replicato Picchiani – perciò eravamo comunque a casa nostra, certo a scuola i profughi non erano visti bene dai Versigliesi, poi ho dovuto aspettare diversi anni per sapere la verità dalla mia famiglia… con ciò che hanno fatto a mio padre, il perdono è difficile”.

Casa Picchiani ad Arsia, 1943, nonno Ugo, la bambinaia e, sulla porta, Roberto Picchiani bimbo e sua madre. Si noti, sulla destra, il bovindo, alla tedesca. Collezione Roberto Luis Picchiani di Borbone, Forte dei Marmi (LU).

So che lo Stato italiano ha insignito la sua famiglia di un riconoscimento per l’uccisione nella foiba del babbo, mi pare nel 2005? “Devo dire che nei primi anni dopo la guerra era difficile parlare delle foibe – ha aggiunto il testimone – col fatto che mio padre era un civile non ebbe il riconoscimento nel 1946 di caduto in guerra, con ciò che ne consegue, poi alcuni anni fa ho ricevuto la Medaglia d’Oro al Merito Civile da parte del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi in riconoscimento della forza morale manifestata nei confronti degli assassini e nel rifiuto di qualsiasi collaborazione a fronte delle loro profferte”.

Ho letto che ora si occupa di andare a testimoniare nelle scuole e nelle cerimonie civili dei Comuni riguardo all’esodo giuliano dalmata e ai tragici fatti delle foibe, con il Giorno del Ricordo? “Sì, quando sono libero partecipo volentieri a tali eventi – ha concluso Roberto Picchiani – mi hanno chiamato a parlare in provincia di Lucca, Pisa, Pistoia, Firenze non solo nelle cerimonie degli enti locali, ma anche nelle scuole medie e superiori, perché è proprio ai giovani che si cerca di far capire quello che è accaduto con le uccisioni nelle foibe; collaboro, infine, con i soci di Marina di Massa e di Lucca dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD)”.

Ho letto da altre fonti che il Direttore della miniera di Arsia è stato ucciso a Pozzo Littorio, Podlabin in croato, che è vicino a Vines. “La Procura di Trieste nel 1943 – ha spiegato Picchiani – comunicò alla mia famiglia che il mio babbo fu imprigionato dai titini di notte e portato via con altri italiani su 3 camion. Tenuto in un posto segreto, mio padre è stato bastonato per 5 giorni fino alla decisone venuta dall’alto di ucciderlo nella foiba di Vines. Queste notizie sono giunte alla mia famiglia, come ho detto, dalla Procura di Trieste e, in un certo senso, sono state confermate da un testimone di Querceta, in provincia di Lucca, che lavorava col mio babbo”.

Signor Roberto Picchiani, nel ringraziarla per questa intervista, mi permetto di farle un’ultima domanda. Chi ha sofferto di più per la tragica scomparsa del suo babbo? “Penso sia stata mia madre – è la stentorea risposta – perché si è dovuta sobbarcare tutto l’onere della conduzione familiare, una volta che venne a mancare mio nonno Ugo, si trovò davvero sola, dovette abbandonare il suo lavoro a Roma, presso la FAO e dedicarsi a me e a mio fratello; nei primi sei-sette anni affrontò delle crisi profonde che la segnarono per tutta la vita”.  

Miniera di Arsia in Istria, pompe Marell in azione, anni 1938-1940. Collezione Roberto Luis Picchiani di Borbone, Forte dei Marmi (LU)

La testimonianza sul caso Picchiani di Ernesto Giorgi, minatore sardo

Dal giornale «L’Unione Sarda», del 5 novembre 2003 si sa che Mauro Pistis, il ricercatore che dagli anni ’90 si occupa del recupero della memoria dei minatori massacrati nelle foibe, ha potuto raccogliere il racconto di uno dei minatori sardi spediti in Istria. Si tratta di Ernesto Giorgi, morto all’età di 93 anni nel 2003 ad Assemini, in provincia di Cagliari. Originario della Toscana, nel 1938 Giorgi arrivò in Sardegna per lavorare nella miniera di Bacu Abis. “Venni alloggiato nei baracconi di legno del villaggio, mezzora di cammino dal Pozzo Nuovo dove lavoravo. Nell’estate del 1943 molti di noi, con particolari specializzazioni, furono scelti per essere trasferiti nell’altro bacino di proprietà dell’A.Ca.I., che si trovava ad Arsa, in Istria. Tra di noi non c’erano solo sardi, ma minatori di altre regioni. In treno da Cagliari ci portarono ad Olbia e da lì in aereo a Pola. Da giugno fino a settembre venni occupato nella grandissima miniera di Pozzo Littorio” (croatizzato in Podlabin = Piedalbona). Quando cominciarono i rastrellamenti? “I primi segnali arrivarono il 13 settembre quando una colonna tedesca fu attaccata dalle bande dei partigiani comunisti di Tito, nei pressi della nostra miniera. Giorni dopo i titini si impossessarono delle armi dei nostri militari, stanchi e affamati, ma soprattutto senza più ordini su che fare”. Giorgi – riprende Mauro Pistis rileggendo gli appunti della testimonianza – insieme ai compagni si presentò al direttore della miniera, l’ingegner Alberto Picchiani, dicendogli che bisognava fuggire rapidamente. Ma lui li tranquillizzò: ‘Aspettiamo che finisca questa burrasca, tanto passerà anche questa’. Accade purtroppo quanto Giorgi temeva: “Nella miniera arrivò una banda di partigiani, presero l’ingegnere e una decina di dipendenti, li legarono con le mani dietro la schiena e li portarono in un bosco chiamato Fumbra, dove c’era una profonda cavità. Li guardammo sfilare silenziosamente nelle stradine del villaggio minerario. Morirono tutti nella foiba”. Con queste parole il giornalista Carlo Figari spiega i fatti della miniera di Arsia su «L’Unione Sarda» del 5 novembre 2003, ricordando che i sardi eliminati nelle foibe istriane dai titini, tra minatori e, in gran parte, militari sono oltre 142 persone tra il 1943 e il 1946, compresi alcuni ferrovieri e insegnanti.

Maria Cristina Del Prete di Borbone, moglie del Direttore della miniera di Arsia, ing. Alberto Picchiani, anni ’40. Collezione Roberto Luis Picchiani di Borbone, Forte dei Marmi (LU)

Un’ipotesi diversa, l’eliminazione di Picchiani a Pozzo Littorio – Finora la maggioranza degli autori (per esempio: Granbassi, Rocchi, Rumici, Montani, Brussi, Menia) hanno sempre indicato nella foiba di Vines il luogo dell’esecuzione dell’ingegnere Picchiani e di altri italiani da parte titina. Forse perché, come è scritto su «Il Piccolo» del 27 ottobre 1943, ripreso da padre Flaminio Rocchi nel suo libro L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, a pag. 536, le cerimonie funebri che si tennero dopo il recupero delle salme, comprendevano gli infoibati di Vines, oltre ad altre. Dalle ricerche di Mauro Pistis emergerebbe che Picchiani fu gettato vivo in un fornello minerario di Pozzo Littorio assieme ad altri italiani. Ecco un brano tratto da Good morning Carbonia di Mauro Pistis, pubblicato in Facebook nel 2018, ma questa potrebbe essere solo una congettura, dato che la famiglia Picchiani ha confermato l’arresto notturno e il trasporto mediante camion in un luogo segreto per gli interrogatori con torture sanguinarie e l’uccisione a Vines.

“Ma, dopo qualche giorno, nel primo pomeriggio, mentre Giorgi uscì dalla Miniera di Pozzo Littorio, alla fine del turno di lavoro effettuato nella Miniera di Càrpano, vide che l’ing. Ugo Picchiani, fu prelevato da un gruppo armato di partigiani slavi con altri dipendenti dell’A.Ca.I., circa una decina di italiani, dagli uffici della Direzione. Dal piazzale della Miniera l’ing. Picchiani e questi dipendenti, legati assieme con corde e con le mani dietro la schiena, furono scortati a gruppi di cinque o sei persone dalla banda armata di partigiani slavi per le vie del centro abitato di Pozzo Littorio. Passando per la via principale (pare che si chiamasse Via della Vittoria), che dal centro abitato porta alla Miniera, la gente, impotente e rassegnata, fu colta di sorpresa, non dimostrando alcuna partecipazione e manifestando anche segni di disapprovazione nel vedere la triste sfilata, che si concluse in un vicino fornello minerario, che gli slavi chiamarono “Fumbra”. In questo fornello (avente un diametro di 4 metri), situato poco lontano da Pozzo Littorio tra Vines e Arsia, per fare la ripiena nelle gallerie sotto le case di Albona si buttò spesso il breccino (rifiuto del carbone), trasportato con i vagoncini su decauville dalla vicina miniera carbonifera. In quel giorno, dentro questo fornello minerario furono gettati l’ing. Picchiani con una decina di altri dipendenti dell’A.Ca.I., compresi alcuni minatori del Sulcis e sardi. Sull’orlo del fornello, profondo decine di metri, dalla banda titina furono riunite a gruppi di cinque o sei le persone sequestrate, che, così sistemate, erano state gettate facilmente all’interno, essendo sufficiente spingere violentemente il primo del gruppo dei prigionieri che trascinò gli altri sventurati legati a lui. Nessun si salvò, morirono tutti, oltre una cinquantina di Italiani, in quel fornello. Giorgi assistette con sgomento e paura alla breve deportazione e all’esecuzione, soprattutto perché si rese poi conto che avrebbe potuto essere fra le vittime, per il fatto che si ritrovò in tasca la tessera d’iscrizione fascista (al Partito Nazionale Fascista). Sarebbe bastata una semplice perquisizione e sarebbe stato gettato anche lui dentro quel fornello. Poi, nell’ottobre 1943, con la sorveglianza dei militari tedeschi si procedette al pietoso recupero delle salme che furono quasi tutte trasportate ai comuni di origine delle vittime riconosciute; mentre quelli non identificati furono sepolti nei cimiteri vicini. Il 26 novembre 1943, il Municipio di Arsia con una cerimonia commemorò le vittime trucidate e infoibate nel suo territorio comunale, precisamente nella cosiddetta foiba di Vines o Gogli, detta anche “Grotta dei Colombi”, vicino alla frazione di Pozzo Littorio. Tra le vittime si ricordarono lo stesso ing. Picchiani, direttore della miniera di Pozzo Littorio, e un dipendente sardo dell’A.Ca.I., Pietro Mura, originario di Iglesias (…)”.

Epilogo

Dalla presente intervista e ricerca si possono fare le seguenti considerazioni conclusive. L’ingegnere minerario Alberto Picchiani è stato ucciso nella foiba di Vines il 5 ottobre 1943 dai titini, come documentato da varie fonti scritte: Granbassi, Rocchi, Rumici, Montani, Brussi, Menia.

Primo fra tutti è l’insieme di servizi giornalistici di Manlio Granbassi pubblicati su «Il Piccolo» di Trieste dal 22 ottobre 1943 in poi. Vedi il suo articolo intitolato “Tragica scoperta in una foiba”, siglato dalla redazione con lo pseudonimo “P.C.”, per evitargli eventuali rappresaglie dai GAP triestini. Dopo l’8 settembre 1943, infatti, nelle città italiane operano in armi contro i tedeschi e loro alleati i Gruppi di Azione Patriottica (Gap), appartenenti al Partito Comunista d’Italia, compiendo agguati ed uccisioni. I Gap erano alleati dei titini. Il giovane giornalista Manlio Granbassi è stato fotografato mentre osserva l’esumazione delle salme di italiani eliminati dai titini a Villa Bassotti di Lindaro, presso Pisino nel mese di ottobre 1943. Secondo Vittorio Pesle “il Granbassi collaborò al riconoscimento delle salme estratte dalle foibe, operazione avvenuta sotto la guida di Arnaldo Harzarich, maresciallo dei pompieri di Pola, in attesa dei pretori; di Granbassi, mio concittadino, conservo una commovente lettera ed un grato ricordo” (Memoriale su Manlio Granbassi di Vittorio Pelse, 11 febbraio 2019).

Si veda pure Dall’abisso dell’odio, autunno 1943. Le cronache giornalistiche di Manlio Granbassi sulle foibe in Istria, con scritti di Fulvio Salimbeni e Roberto Spazzali, Trieste, Famiglia Pisinota aderente all’Unione degli Istriani, 2006. Proprio dagli articoli di Manlio Granbassi hanno ripreso le parole gli autori citati, come padre Flaminio Rocchi, a pag. 536, del suo classico L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, pubblicato nel 1990.

Una seconda documentazione scritta è la comunicazione del 1943 della Procura di Trieste alla famiglia Picchiani dell’avvenuto decesso dell’ingegnere Picchiani Alberto e convocazione per il riconoscimento della salma. C’è poi la Relazione Arnaldo Harzarich del 1945, materiale consultabile presso l’archivio dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione a Trieste, che cita l’ingegnere Alberto Picchiani, ucciso nella foiba di Vines nel 1943. Su detta Relazione di Harzarich si basa il libro del 2002 di Guido Rumici intitolato Infoibati. I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti; si vedano, in particolare, le pagine 128 e 427.  Gli studi e gli articoli successivi sono di Figari (2003), Montani (2017), Brussi (2019), Dessì (2019), Pirotto (2020) e Menia (2020). Tutti i citati autori riportano la foiba di Vines come luogo del supplizio di Alberto Picchiani e dei suoi compatrioti.

Solo Ernesto Giorgi, una fonte orale riportata da Mauro Pistis, nel 2018, ha ricordato molti anni dopo la tragedia del 1943 un luogo diverso dell’esecuzione titina: il fornello minerario di Pozzo Littorio, peraltro situato a pochi chilometri di distanza dalla foiba di Vines. Quella di Giorgi pare, in conclusione, una testimonianza poco accreditabile. Si consideri, infine, la confusione ingenerata nel periodo in questione con bande armate titine che per razzismo e pulizia etnica catturavano gli italiani da torturare estorcendo loro indirizzi e nominativi di altri disgraziati da eliminare. Si consideri che i prigionieri certe volte venivano fatti sfilare con le mani legate per propaganda titina e detenuti con percosse e violenze varie per alcuni giorni, effettuando pure le uccisioni simulate per infondere ancor più terrore, in base alle testimonianze, prima dell’eliminazione finale nella foiba. Non è del tutto escluso che il racconto di Ernesto Giorgi sia di poco precedente all’eliminazione finale nella foiba di Vines, tenendo conto che certi fornelli minerari erano profondi sì dei metri, ma a volte restavano intasati da materiale di scarico, quindi erano, come dire, idonei per le uccisioni simulate.

Piscina di Arsia, 1942, momenti di svago dei minatori e abitanti della cittadina mineraria. Collezione Walter Stringaro, esule a Udine

L’incidente del 1948 nella miniera di Arsia

La miniera di Arsia, ora Raša (in croato), ha provocato vari incidenti collettivi sin dal 1937. Quando apparteneva al Regno d’Italia un’esplosione si portò via la vita dei 187 minatori il 28 febbraio 1940, su cui i giornali del tempo dedicarono solo qualche riga. Divenuta iugoslava, la miniera tornò ad esplodere nel 1948, provocando la morte di almeno 92 minatori costretti ai lavori forzati dal regime di Tito. Erano essi soldati tedeschi della Wehrmacht catturati dagli iugoslavi a Castelnuovo d’Istria, oggi Podgrad, il 3 maggio 1945 e obbligati a massacranti turni notturni, come per Josef B., di Coblenza, che lasciò in alcune lettere del 1949 la sua testimonianza. Come ha scritto Cristina Scala a p. 46 di un suo interessante libro sul caso, oggi Arsia pare una città fantasma, la miniera è chiusa dal 1992 e dell’incidente del 14 marzo 1948 si sa che “… il regime di Tito volle insabbiare questa faccenda”.

Albona è stata una realtà politica molto complessa e foriera di iniziative speciali. Si pensi che nel 1921 circa duemila minatori di varie nazionalità (italiani, croati, sloveni, tedeschi, cecoslovacchi, polacchi e ungheresi) crearono la Repubblica di Albona di stampo sovietico, in seguito al pestaggio avvenuto a Pisino del sindacalista triestino Giovanni Pipan da parte di una squadraccia fascista. Dopo 35 giorni la Repubblica fu repressa dai carabinieri in poco tempo, con due vittime; al processo che ne seguì, tuttavia, i ribelli furono tutti assolti dal tribunale del Regno d’Italia.

Dei fatti di razzismo e di pulizia etnica accaduti in Istria, Fiume e in Dalmazia contro gli italiani da parte iugoslava dal 1943 sino oltre il 1955 non c’è che una impercettibile traccia negli studi storici di caratura internazionale. Si veda, ad esempio, il recente Europa a processo di István Deák, assai documentato sulle violenze nazionalistiche e antisemite dei Paesi dell’Europa dell’Est, come quelle belliche e postbelliche perpetrate dai partigiani di Tito contro la minoranza ungherese della Bačka, parte nord-occidentale della Voivodina, che causarono tra le 10 e le 50mila vittime, secondo le stime (Deák, p. 196, 208).

Massarosa (LU), 9 febbraio 2020 – Inaugurazione di Largo Martiri delle Foibe. Stefania Picchiani Borbone, nipote dell’infoibato ingegnere Alberto Picchiani, vicino a Roberto Picchiani Borbone, figlio dell’infoibato, al sindaco Alberto Coluccini e al consigliere comunale Giuseppe Angeli. Collezione Roberto Luis Picchiani di Borbone, Forte dei Marmi (LU)

Avrei voluto un posto

Una collaboratrice del blog, Maria Iole Furlan, ha voluto scrivere i versi seguenti dedicandoli agli italiani uccisi ad Arsia nel 1943 dai titini.

Avrei voluto un posto in prima fila

per veder il volto titino del mal

mentre spingeva giù il Direttore

della grande miniera di Arsia in Istria

in un buco del terreno legato

assieme con corda ad altri italiani

tutti morti nel baratro solenne

recuperati e riconosciuti.

Si era ai primi del mese di ottobre

del 1943

fatti di guerra da non dimenticar

e poi è duro per molti perdonar.

Fonti orali e ringraziamenti

Roberto Luis Picchiani di Borbone, Arsia (Albona) 1941, esule a Forte dei Marmi (LU), intervista telef. dei giorni 1, 9 e 11 giugno 2020 di Elio Varutti ed e-mail del 12 giugno 2020. Per il presente articolo la redazione del blog è riconoscente al signor Claudio Ausilio, esule da Fiume e socio dell’ANVGD di Arezzo, che ha fornito con la consueta cortesia i contatti per la ricerca presso il signor Roberto Luis Picchiani di Borbone, andando a incrementare una tradizionale e collaudata collaborazione con l’ANVGD di Udine. Si ringraziano, infine, Maria Iole Furlan e i collezionisti per i vari materiali messi a disposizione della ricerca, tipo fotografie, cartoline, libri, documenti privati e cimeli dell’esodo, come il signor Walter Stringaro, nato ad Arsia nel 1942 ed esule a Udine, socio ANVGD.

Alcuni esuli da Pola e da Fiume, dopo la presente pubblicazione, ci hanno scritto per corroborare le nostre fonti bibliografiche; gliene siamo molto grati. Si ringrazia poi Vittorio Pesle (Pisino 1928 –Pagnacco, UD 2019), nipote acquisito di Arnaldo Harzarich, per i testi dattiloscritti e manoscritti consegnati all’Autore del blog e l’int. del 21 dicembre 2018, effettuata in presenza della moglie Sara Harzarich (Pola 1931).

Forte dei Marmi (LU), onori militari alla Tomba dei Picchiani. Collezione Roberto Luis Picchiani di Borbone.

Riferimenti bibliografici e del web

  • P.C. (i.e. Manlio Granbassi), “Tragica scoperta in una foiba”,  «Il Piccolo» 22 ottobre 1943, p. 1.
  • P.C. (i.e. Manlio Granbassi), “48 salme su 84 sono state finora identificate”, «Il Piccolo» 27 ottobre 1943, p. 1.
  • Giulio Cuzzi, Livio Dorigo et alii, Arsia 28 febbraio 1940, Trieste, Circolo di Cultura Istro-Veneta “Istria”, 2007.
  • Dall’abisso dell’odio, autunno 1943. Le cronache giornalistiche di Manlio Granbassi sulle foibe in Istria, con scritti di Fulvio Salimbeni e Roberto Spazzali, Trieste, Famiglia Pisinota aderente all’Unione degli Istriani, 2006.
  • István Deák, Europe on Trial. The Story of Collaboration, Resistance, and Retribution During World War II, Boulder, CO, Westview Press, 2015, traduzione ital. di Maria Luisa Bassi: Europa a processo. Collaborazionismo, resistenza e giustizia fra Guerra e dopoguerra, Bologna, Il Mulino 2019.
  • Elenco “Livio Valentini”, Caduti Repubblica Sociale Italiana, disponibile in Internet.
  • Carlo Figari, “Così uccisero i minatori del Sulcis”, «L’Unione Sarda», 5 novembre 2003.
  • Roberto Menia, 10 Febbraio. Dalle foibe all’esodo, Roma, Pagine, 2020.
  • Vittorio Pesle, Memoriale su Manlio Granbassi, 11 febbraio 2019, cc. 3, ms. Collezione E. Varutti, Udine.
  • Antonello Pirotto, “Arsia 1940-2020: il 28 febbraio si celebrano gli 80 anni della più grande tragedia mineraria italiana, «La Provincia del Sulcis Iglesiente», on line dal 27 febbraio 2020.
  • Rinaldo Racovaz, Arsia, un’opera d’arte d’edilizia moderna / Raša, remek-djelo graditeljstva Moderne, Arsia / Raša, Comunità degli Italiani “Giuseppina Martinuzzi” di Albona / Zajednica Talijana “Giuseppina Martinuzzi” Labin, Consiglio della minoranza italiana della Città di Albona / Vijeće talijanske manijne Grada Labina, 2016.
  • Flaminio Rocchi, L’esodo dei 350 mila giuliani fiumani e dalmati, Roma, Associazione Nazionale Difesa Adriatica, 1990.
  • Guido Rumici, Infoibati. I nomi, i luoghi, i testimoni, i documenti, Mursia, Milano, 2002.
  • Cristina Scala, Cuore di bambina a Fiume nell’anno 1947, Portogruaro (VE), [s.e.], 2018.

Intervista e servizio giornalistico di Elio Varutti. Ricerche di Claudio Ausilio e E. Varutti. Networking a cura di Tulia Hannah Tiervo, Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Copertina: Fronte della entrata della miniera di carbone in Arsia, Pola; Collezione Roberto Luis Picchiani di Borbone, Forte dei Marmi (LU). Fotografie da collezioni private citate nell’articolo e dall’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in Vicolo Sillio, 5 – 33100 Udine. Telefono e fax 0432.506203 – orario: da lunedì a venerdì  ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin.

Pubblicato da

eliovarutti

Comitato Esecutivo dell'ANVGD di Udine

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