Onorati, pubblichiamo un racconto istriano di Annamaria Zennaro Marsi, intitolato: “Questa volta vi racconterò una storia…”. I suoi brani ci offrono uno scorcio di vita quotidiana nella natia Cherso degli anni passati. C’è la vicenda della famiglia Malabotta, con particolare riferimento, riscoperta e valorizzazione della figura di Manlio Malabotta. L’Autrice ha pure curato le traduzioni dal dialetto istriano in italiano delle poesie dello stesso Malabotta. Dopo Trieste, originali Mostre fotografiche sulla sua opera sono state allestite a Umago, Fiume e Pola. In parentesi riquadrate ci sono rare note redazionali (a cura di Elio Varutti).

Questa volta vi racconterò una storia. E, come tutte le storie, comincerò con un: c’era una volta un uomo poliedrico, pieno di energia e di entusiasmo, un uomo alla ricerca continua della bellezza e di tutto quello di piacevole che la vita può elargire. Era un uomo affascinato dal mare, dalle coste, dalle isole, dalla natura, ma anche dall’arte, dal collezionismo, dalla fotografia, dalla poesia e dalla cultura in tutte le sue manifestazioni, un uomo che sapeva assaporare la bellezza della vita da lui vissuta in tutta la sua pienezza, forse nella convinzione che la “bellezza salverà il mondo” come aveva fatto dire Dostojevskij ad un personaggio del suo romanzo L’idiota.
Alcuni dei suoi avi, provenienti dalla Romagna, barattavano laterizi, materiale per l’edilizia e sabion in cambio di lana di pecora, olio, sardine e altri prodotti delle nostre fabbriche e della nostra terra chersina. Capitò che, durante una burrascosa tempesta, l’imbarcazione di un suo antenato, venne sbattuta, dalla ferocia delle onde quarnerine, contro la punta Pernata e, alla scoperta dell’affidabile insenatura della nostra Cherso, affascinati dalla sicurezza del nostro porto, sedotti dall’inebriante, balsamico profumo di salsedine, di salvia e di magrìs (elicriso) , vi trovarono rifugio e decisero di fermarsi.
A riprova di questo avvenimento la restauratrice chersina Antonella Colombis, che si dedicò alla cura della splendida pala della Madonna con Cristo morto del santuario di San Salvador e di altri tesori d’arte delle chiese chersine, trovò in un sotterraneo del Duomo una preziosa icona che raffigurava la Madonna con il bambino, un’Odighitria (Madre di Dio) [dal greco tardo ὁδηγήτρια «colei che conduce, che indica la via»] e, con suo grande stupore, scoprì sul retro un nome. Quel nome, forse un “ex voto”, era proprio Malabotta ed era stato donato dalla famiglia probabilmente per ringraziare la Madonna di averli salvati dalle temibili e terrificanti onde del Quarnero.

L’Odighitria regge Gesù, il Dio-Uomo, che non è quel neonato che siamo abituati a vedere nei dipinti religiosi comuni, ma è il Verbo incarnato, un bambinello dal volto di adulto che tiene in mano il rotolo della divina Sapienza. A quei tempi il mare Adriatico era un ottimo galeotto, un rude, adamantino, ma anche mite e misericordioso collante tra le due sponde, quella italica e quella istro-quarnerina e le vie del mare contribuivano a catturare ed amalgamare individui delle più svariate località venete, ma anche romagnole.
I Malabotta diventati, nello scorrere del tempo e delle trascrizioni, Malabotich, percorsero la nostra isola, vennero attratti da altre località molto affascinanti quali Ossero (in passato importante cittadina commerciale poi distrutta dalla malaria), ma anche Fiume e Lussino, dove, nel 1868 nacque Nicolò (il padre di Manlio, il personaggio della nostra storia), che intraprese, come la maggior parte dei Chersini e Lussignani la via del mare, trasferendosi a Trieste, come tenente e poi comandante di navi del Lloyd.
Mio pare e mia mare
‘L panorama del Lloyd
de la Dalmazia
da Lussin ‘l scuminzia
par rivar zo
fin a le Boche de Cataro.
Nove metri de carta
Tante ore de vapor.
Se partidi de là.
Vizini ste’ desso
Tra quatro mureti
de zimento
n’t al zimitero…
Manlio Malabotta
Il figlio Manlio nacque, quindi, a Trieste nel 1907 da madre montenegrina [Mileva Milinovich, di Castelnuovo nelle Bocche di Cattaro] e padre lussignano di origini chersine, frequentò il liceo “Dante Alighieri” dove poté intessere importanti amicizie e contatti preziosi per le sue ambizioni culturali. Fu compagno anche di quella Leonor Fini, pittrice versatile e famosa in campo internazionale, ma anche di altre personalità che lo aiutarono ad ampliare i suoi orizzonti artistici e letterari.
Laureatosi a Padova in giurisprudenza, divenne il più giovane notaio del Regno d’Italia e, dopo la prima sede, a Comeno, gli fu assegnata quella di Montona d’Istria, dove, sempre attratto dalla bellezza delle ricche dimore, scelse la sua abitazione entro le mura di un Castello: “el Castel” dei conti Polesini, arricchendo le stanze di libri e di raffinate collezioni. Suo padre, già nel 1927 aveva chiesto di ripristinare il suo cognome originario e con la Gazzetta ufficiale del 20.1.1928 del Regio decreto n. 39 pag. 689, ripresero il cognome avito di Malabotta.
Era un bell’uomo, elegante, con una capigliatura folta e sempre inappuntabile, gli occhialetti rotondi alla Joyce e la figura snella e ben proporzionata. Si sposò ed ebbe una figlia, il cui battesimo figura su alcune foto esposte nell’interessante mostra, abilmente curata dalla storica professoressa Diana De Rosa, nata De Petris (vi suggerisce qualcosa il suo cognome?). Sì, anche lei è di origine chersina da parte del padre.
Appassionato di arredamento, collaborò a delle riviste tra le quali “Casabella”, scrisse delle poesie dialettali “Diese poesie scrite de novembre e qualche mese, dopo” ed altre composizioni poetiche. Si dedicò alla fotografia con un’intuizione attualissima dei soggetti e degli sfondi. Fotografò con la sua ottima Leica la sua Istria, il mare con tutte le sue implicazioni, cordami, dettagli di imbarcazioni, rottami di un cantiere navale, sfondi impensabili per l’epoca (eravamo intorno agli anni 1937-39), un’anticipazione del Neorealismo. Anche scene di vita familiare, ritratti di amici e le incredibili e sensazionali parti di interiora e di viscere che catturò in un macello, quasi a simulare dei fondi marini e degli ondeggiamenti di quel mare per il quale provava una sviscerata passione.
La tranquillità e il benessere della sua vita vennero però sconvolte dalla guerra e, come tanti di noi, dovette subire nel 1943 l’esodo. Una fuga repentina che lo costrinse ad abbandonare precipitosamente il suo castello, i suoi amici, le sue raccolte, i suoi libri (ce n’erano ben settemila) e si rifugiò a Roma, la città che con la sua ricchezza di opere d’arte avrebbe potuto dargli il massimo del godimento estetico, ma anche lo sconforto e la solitudine della grande città.
‘L castel (1943)
La mia casa
iera ‘n castel
co’l ponte levatoio.
Ghe se ga rota
la cadena
e xe ‘n via vai.
Musi bruti e bei
curiosi
come se i girassi
in t-un museo.
Gnanca ‘n postisin
me xe restà,
pa’i sogni…
Esodo inaspettato, che sconvolse tutti i suoi progetti presenti e futuri e dovette, come tanti di noi esuli, reinventarsi la sua vita, cercare una nuova abitazione, farsi nuove amicizie con le quali intrattenere gli scambi culturali di cui aveva bisogno, staccarsi dalle sue sicurezze e dalle sue ambizioni.
Porta che queste chiavi
aprono lontano,
racchiudi e chiudi il mio mondo
che più non esiste. (dal Taccuino del 1944).
Chiese anch’egli il rimborso dei beni abbandonati, il recupero dei suoi libri e delle sue collezioni e per qualche anno la sua vita risentì dello scossone e della convulsione generata dal cambio di rotta, finché, dopo un intervallo di disagi e tribolazioni, la sua professione di notaio gli permise il trasferimento a Montebelluna, nel Trevisano, dove rimase quasi 30 anni.
La sua nuova vita riprese sempre con la nostalgia di quelle terre che erano state dei suoi avi e nei confronti delle quali nutriva un’attrazione profonda. Appena poteva costeggiava con la sua barca a vela, le isole del Quarnero e quelle dalmate, si immergeva in quel mare in apnea quasi per assaporare quel mondo sottomarino che considerava la sua linfa.
Le crose
Nane picio Pa’ le strade
che sonava che’l passava i muli,
in ciesa a Ossero crose de paia
ghe ga imparà o de rameti
leger e scriver i ghe seminava
a mio pare e a mi, e lu –atento-
de seconda man, co’ pìe le disfava
‘na sua stroligheria. convinto del cambiarse el destin
co’ sta mania.
Anca mi,
verto a ogni superstizìon,
volessi solo co’ ‘l pìe
poder disfar tute le crose che me trovo davanti
e qualche volta ghe riesso.
Le sue amicizie si dilatarono sempre più e le sue collezioni si arricchirono di quadri di famosi pittori, ma anche di scultori del tempo: Mascherini, Martini e poi molti de Pisis (fino a raccoglierne 58), Morandi, Nathan e altri noti artisti e letterati soprattutto triestini. Un’ottima mostra, intensamente voluta e realizzata con lodevole perizia e caparbietà dalla signora Franca Fenga Malabotta, è stata realizzata al “Magazzino delle Idee “ di Trieste, con l’esposizione di numerosi dipinti, fotografie, sculture, disegni [nel 2013].
Volle ritornare a Trieste e, questa volta, elesse il suo domicilio in un palazzetto costruito dall’architetto Boico, arredato su sue indicazioni e secondo i suoi desideri e canoni di bellezza, prestabilì una degna collocazione per i suoi quadri preziosi, per i suoi libri (più di 10.000) che occupano metri e metri di parete al piano superiore di un lussuoso appartamento da dove poteva immergersi e gioire, come dalla tolda di una nave, dell’incanto dell’adorato mare, delle coste di quell’ultimo lembo d’Istria che gli permetteva di sognare la nostra isola come un’evocazione ideale ormai lontana.
Poté immergersi nella bellezza raffinata e nobile dell’arte che innalza lo spirito, che accomuna gli animi nel piacere, nel buon gusto, creando un’armonia interiore collettiva, una ricerca dell’Assoluto, quasi un’intuizione di Dio. Manlio Malabotta poté assaporare per pochi mesi questa estasi estetica, in quanto la sua avventura di vita si concluse pochi mesi dopo, nel 1975, a 68 anni.
De sta picola storia
resta desso i muri
de la tua casa in Istria.
le sue finestre
-oci svodi-
varda tuta ‘na vale
e’l ziel.

Le Mostre a Trieste su Manlio Malabotta
A Trieste, sono state recentemente dedicate alle collezioni di Manlio Malabotta (1907-1975) due mostre. La prima “Malabotta e le arti”, inaugurata l’8 di dicembre 2013 al “Magazzino delle idee” situato nel porto vecchio di Trieste e ottimamente ristrutturato, comprendenti opere grafiche e pittoriche di De Pisis, provenienti dal museo di Ferrara (al quale vennero donate nel 1996 dalla moglie signora Franca). Poi ci sono dipinti, sculture, fotografie tuttora presenti a Trieste in cui figurano anche alcune opere di Martini, Morandi, Carmelich, Nathan, Bolaffio, Fitke, Maccari, Leonor Fini e Longanesi ai quali si aggiunge il bel ritratto di Levier. L’esposizione, che qualcuno si è augurato rimanesse permanentemente aperta, è stata promossa e realizzata dalla collaborazione di vari Enti Culturali e il contributo della Fondazione CRTtrieste. Numerosi interventi di personalità della cultura e delle arti hanno contribuito a ricostruire il carattere, la versatilità dei suoi interessi e il suo valore, non solo quale collezionista di dipinti, libri preziosi, di appassionato fotografo, ma anche come studioso, critico, poeta, giornalista ben inserito nell’ambiente culturale dell’epoca con ottima capacità di contatti relazionali.
La seconda mostra dedicata a Malabotta fotografo (2014) e curata dalla storica professoressa Diana De Rosa è stata ambientata nel museo dell’Istituto Regionale per la Cultura Istriano-fiumano-dalmata (IRCI) di via Torino e ha portato alla luce due fotografie, pubblicate nel 1937, sulla rivista “Omnibus” di autore sconosciuto e ora rivelato, dopo 35 anni, grazie alla moglie che ha fatto emergere dall’oblio una quarantina di rulli formato Leica.
Le foto esposte a Trieste hanno rivelato altri dettagli della sua vita in Istria, ma soprattutto hanno evidenziato un fotografo di alta qualità con ambientazioni molto interessanti, sfondi impensabili a quell’epoca, gusto delle inquadrature e dei soggetti che fanno di lui un apripista tra i più prestigiosi “scrittori di luce”.
Annamaria Zennaro Marsi
Traduzioni delle poesie in lingua italiana
Mio padre e mia madre – Il panorama del Lloyd (sottintende Triestino di navigazione) / della Dalmazia, / comincia da Lussino / per scendere giù fino alle Bocche di Cattaro / Nove metri di carta (documenti) / E tante ore di vaporetto. / Voi siete nati là. / Ora siete accanto, tra quattro muretti di cemento. / dentro al cimitero.
Le croci – Nane picio (soprannome: Giovanni piccolo) / che suonava in chiesa a Ossero / ha insegnato a leggere e scrivere / a mio padre e a me di nascosto, / una stregoneria. / Per le stradine dove passavano gli asini, / venivano sparse delle croci di paglia / oppure dei rametti (per indicare il percorso) / Lui, pronto, con i piedi le toglieva / convinto che con questa sua mania / cambiasse il suo destino. / Anch’io, / aperto ad ogni superstizione / vorrei, solo con i piedi, / poter distruggere tutte le croci, / che mi trovo davanti / e qualche volta ci riesco.
Il Castello (di Montona d’Istria 1943) – La mia casa. / era nel castello / con il ponte levatoio. / Si è rotta la catena (che lo teneva chiuso). / E ora è tutto un via vai. / di facce brutte e belle di curiosi, / come se girassero in un museo. / Neanche un posticino mi è rimasto / per i miei sogni.
Di questa piccola storia, ora restano solo i muri / della tua casa in Istria e le sue finestre / (come) – occhi vuoti- / guardano tutta la valle e il cielo.

Bibliografia essenziale
– Manlio Malabotta, La presa di Trieste o il gioacchino, Milano, Scheiwiller, 1968.
– M. Malabotta, Diese poesie scrite de novembre e qualche altra, dopo, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1968.
– M. Malabotta, L’opera grafica di Filippo De Pisis, Milano, Edizioni di Comunità, 1969.
– M. Malabotta, Fiori de nailon, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1971.
– M. Malabotta, No ghe xe sol, Milano, All’Insegna del Pesce d’Oro, 1977.
– M. Malabotta, Tutte le poesie in dialetto triestino, a cura di Diana De Rosa, prefazione di Vittorio Sereni e due scritti di Paolo Bernobini, Milano, All’insegna del Pesce d’Oro, 1990.
– Lorenzo Nuovo, Manlio Malabotta critico figurativo: regesto degli scritti (1929-1935), Trieste, Società di Minerva, 2006.
– Simone Volpato, Venezie d’inchiostro e di carta. La biblioteca di Manlio Malabotta, Dueville (VI), Ronzani, 2021.
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Biografia dell’Autrice – Annamaria Zennaro Marsi, nata a Cherso nel 1939, sotto il Regno d’Italia, è esule a Trieste. Ha collaborato col periodico della Comunità Chersina (2004-2017), ha pubblicato Vita a Palazzo Silos, edito da Bora.la di Trieste, nel 2021, che ha ricevuto la menzione d’onore al Premio letterario ‘Gen. Loris Tanzella’ 2022 di Verona. Collabora con “El Cinciut”, pagina dialettale de «Il Piccolo» di Trieste. Nel libro Vita a Palazzo Silos, descrive le sue vicissitudini nel Campo profughi del Silos a Trieste. Con la sua famiglia chersina è stata esule al Silos dal 1948 al 1955. Ricordiamo che l’isola di Cherso, nel 1936, contava 8.617 abitanti residenti, di cui 3.502 a Cherso. Dal 1991 l’Isola (Cres) è della Repubblica di Croazia. (a cura di Elio Varutti).
Fotografie della Collezione di Annamaria Zennaro Marsi. Altre immagini da Collezione privata. Si ringraziano per la collaborazione riservata Claudio Ausilio, esule di Fiume a Montevarchi (AR) delegato provinciale dell’ANVGD di Arezzo.
Note – Autrice principale: Annamaria Zennaro Marsi. Progetto e attività di ricerca: Elio Varutti, Coordinatore del gruppo di lavoro storico-scientifico dell’ANVGD di Udine. Networking di Sebastiano Pio Zucchiatti e E. Varutti. Lettori: Paola Quargnolo. Adesioni al progetto: Centro studi, ricerca e documentazione sull’esodo giuliano dalmata, Udine e ANVGD di Arezzo. Copertina: Disegno del Convento di S. Benedetto delle Monache e una parte della città di Cherso. Collez. privata. Ricerche presso l’archivio dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia Dalmazia (ANVGD), Comitato Provinciale di Udine, che ha la sua sede in via Aquileia, 29 – primo piano, c/o ACLI. 33100 Udine. – orario: da lunedì a venerdì ore 9,30-12,30. Presidente dell’ANVGD di Udine è Bruna Zuccolin. Vicepresidente: Bruno Bonetti. Segretaria: Barbara Rossi. Sito web: https://anvgdud.it/